martedì 20 marzo 2012

L'uomo che piantava gli alberi



Un'idea per scuola e famiglia! Buona visione.

teachpaperless... ovvero, insegnare senza utilizzare carta




Ho pensato di farvi conoscere il link ad un blog che si chiama "teachpaperless". E' tutto scritto in inglese ma credo che i nostri insegnanti abbiano ormai acquisito un livello di conoscenza della lingua inglese tale da permettere loro di comprendere le informazioni disponibili in rete. Lo dice la parola stessa: teachpaperless. Ovvero educare e insegnare utilizzando materiale che non sia cartaceo. Sembra impossibile? Eppure un gruppo di insegnanti americani hanno deciso di intraprendere questa sfida aprendo persino un blog per diffondere e condividere l'iniziativa. Ci sono tantissimi spunti interessanti da cogliere e fare propri sia a scuola e perche' no anche a casa. Ridurre il consumo di carta e' un comportamento virtuoso che deve entrare a far parte delle nostre abitudini quotidiane. Buona lettura!

Pensando ai nostri piccoli... che diventeranno grandi...


io... jane - il castoro
Io… Jane
di Patrick McDonnell
Il Castoro – p.40 – e.15,50
Se dovessi pensare ad una persona che ha tutte le carte in regola per fungere da esempio ai nostri figli quella persona sarebbe Jane Goodall. Non credo che abbia bisogno di presentazioni ma, per chi non la conoscesse Jane e' una etologa e antropologa britannica che ha dedicato 40 anni della sua vita a studiare la vita sociale e familiare degli scimpanze', nonche' a condurre battaglie per difendere la loro sopravvivenza. E' uscito di recente questo libro per bambini che narra la vita di questa donna ineguagliabile. Sento di consigliarlo a tutti i genitori. E' un libro che merita di trovare posto nelle nostre case. Jane Goodall non e' semplicemente una ricercatrice che ha protetto gli scimpanze'. Lei e' la dimostrazione del bene che possiamo fare in questo mondo, del significato che possiamo dare alla nostra esistenza quando agiamo secondo le leggi del cuore, dell'amore, della passione mentre inseguiamo i nostri sogni, specialmente quelli piu' grandi, quelli che alla maggior parte delle persone sembrano impossibili.


sabato 17 marzo 2012

OPERAZIONE SQUALO ELEFANTE


Lo squalo elefante, o cetorino, è uno dei più grandi animali marini italiani, secondo per dimensioni solo alla balenottera. Instancabile nuotatore, è capace di attraversare interi oceani per raggiungere le correnti ricche del plancton di cui si nutre. 

Nonostante la sua mole e l’abitudine di nuotare in superficie, lo squalo elefante è un animale misterioso. Scarsissime le informazioni sul Mediterraneo.

Nel 2005 MedSharks ha dato vita all’Operazione Squalo Elefante (OSE), la prima ricerca “sul campo” in Mediterraneo su questo misterioso animale. 

Cos’abbiamo scoperto finora
Dopo aver creato una rete di osservatori, pescatori e diportisti, abbiamo  raccolto le loro segnalazioni in una banca dati degli avvistamenti e catture di squalo elefante: abbiamo così stabilito che in Sardegna si registra il più alto numero di segnalazioni in Mediterraneo e rappresenta quindi un luogo importante per questi animali. 

Abbiamo inoltre realizzato uno schedario fotografico delle pinne dorsali, l’equivalente delle impronte digitali di questi animali. Le immagini saranno presto confrontate con ricercatori stranieri per verificare se si tratti degli stessi animali che in estate frequentano i mari atlantici. 
La raccolta di campioni di tessuto consentirà ai biologi di analizzarne ilDNA. E per capire dove vadano una volta lasciate queste acque, abbiamo infine marcato un cetorino, per la prima volta in Mediterraneo.

L'articolo e' tratto dal sito www.squaloelefante.it


 

martedì 13 marzo 2012

Consegna degli Attestati ai C.E.A.- Regione Marche

Il 5 Marzo, presso la sede della Regione Marche è avvenuto l'incontro con tutti i C.E.A. della rete INFEA della Regione Marche. Nella stessa occasione, il Dirigente dott. Fermanelli e l'Assessorato all'Ambiente ha consegnato gli attestati ai CEA che hanno ottenuto il riconoscimento.
La responsabile del nostro CEA, la dott.ssa Architetto Flavia Capra ha ritirato il prestigioso attestato.
E' giunto così il meritato riconoscimento di questi anni di duro e silenzioso lavoro svolto dalle educatrici ambientali Flavia e Christina e da tutti i volonatri che hanno contribuito alle numerose attività del C.E.A. 





giovedì 8 marzo 2012

Una pesca sostenibile e' possibile?

Vi proponiamo un articolo del nostro amico biologo e naturalista Marco Affronte. Siamo certi che troverete questo scritto molto interessante. Buona lettura amici!



L’assalto sistematico agli oceani è partito subito dopo la seconda guerra mondiale. La pesca è sempre stata un’attività che l’uomo ha praticato, con difficoltà e con caparbietà. La pesca tradizionale vedeva impegnati uomini e risorse tecniche limitate. La forza e l’ingegno dell’uomo contro la natura imperscrutabile, difensiva e spesso matrigna, del mare.
Ma dopo la grande guerra, la crescita demografica, parallela a quella del reddito disponibile, ha aumentato la richiesta di risorse ittiche. Di pari passo è andato il miglioramento tecnico, l’aumento della potenza dei motori, l’utilizzo della strumentazione di ricerca (radar e sonar impiegati per cercare i banchi di pesce). Quando poi le grandi navi, dotandosi della possibilità di congelare il pesce direttamente a bordo, hanno potuto iniziare a pescare anche in pieno oceano, la pesca è diventata un’industria vera e propria.
Mentre, dal 1950 al 1997, la popolazione mondiale raddoppiava, nello stesso periodo il quantitativo di pesce prelevato dal mare quintuplicava, passando dai 19 milioni di tonnellate, al massimo, mai raggiunto prima, di 90 milioni di tonnellate. E sia chiaro che quel picco storico del ’97 non poi mai più stato eguagliato, perchè inesorabilmente, è iniziato il declino.
Il modo in cui si è pescato, e tuttora si pesca, praticamente nei mari di tutto il mondo, se si escludono le poche residue forme di pesca artigianale e tradizionale, è la definizione esatta di cosa significhi “non sostenibile”. Il prelievo continuo, indiscriminato, mirato solo al profitto “tutto e subito”, non tiene conto delle capacità di ripresa biologica del mare. Insomma, si porta via molto di più di quanto il mare riesca a ricreare. E le stime parlano chiaro: al momento attuale il 75% delle riserve di pesca hanno raggiunto, e molte volte superato, la loro capacità di ripresa sostenibile.
Le conseguenze cominciano a essere talmente lampanti che non possono essere ignorate nemmeno da chi avrebbe interesse a farlo. La varietà di pesci è sempre minore, le quantità sono in forte declino, e la taglia del pescato è nettamente, drammaticamente diminuita. Nel 2003 un celebre articolo pubblicato sulla prestigiosa Nature dichiarava che il 90% dei pesci di grandi dimensioni è scomparso dagli oceani. D’altro canto, basta chiedere ai pescatori. Quelli professionali da tempo si lamentano delle reti sempre più vuote (ma loro in genere danno la colpa all’inquinamento…), mentre quelli sportivi oggi festeggiano quanto trovano tonni e pesci spada che pochi anni fa sarebbero stati considerati prede appena discrete a causa delle loro misure non certo da record.
La storia della pesca commerciale è sempre stata l’esempio di un’economia basata sul profitto dell’oggi a discapito del domani. Come già detto, tutto e subito. E infatti, spesso e volentieri, sta fallendo. Gli esempi sono tanti, ma quello della pesca al merluzzo del nord Atlantico è tristemente noto. Praticata per oltre 500 anni senza limiti, l’industria della pesca al merluzzo del Canada è crollata e fallita di schianto nei primi anni ’90, lasciando senza lavoro circa 40.000 lavoratori fra pescatori e operai della lavorazione del pesce. Le industrie simili negli Stati Uniti atlantici e nel nord-Europa stanno facendo la stessa fine.
Ma la pesca non si ferma, al massimo rallenta. La definizione di limiti di pesca, strategia molto utilizzata dall’Unione europea, ad esempio, a partire da poco più di un decennio fa, assomiglia sempre più a una toppa su una falla troppo grande. I limiti imposti, dopo lunghe negoziazioni non sono sufficienti e sono comunque arrivati tardi.
Il quadro è a tinte foschissime e, allo stato attuale, se anche la pesca si fermasse in tutto il mondo, ci vorrebbero comunque molti anni perchè le popolazioni ittiche possano riprendersi.
Le soluzioni per contrastare tutto ciò sono molto complesse, anche perché ovviamente vanno a cozzare contro interessi economici molto elevati, e anche perchè devono sottostare al ricatto del rischio di creare ampie fasce di disoccupazione nel settore della pesca.
In ogni caso, bisogna darsi da fare. Lo si può fare dall’interno, agendo dunque direttamente sull’industria della pesca, e dall’esterno, andando a proteggere la risorsa stessa.
Partendo da questa seconda opzione, è ormai dichiarato a molti livelli e da diversi studi e ricerche, che un sistema di aree marine protette mondiale porterebbe benefici enormi. Nel 2002, al summit mondiale per lo sviluppo sostenibile tenutosi a Johannesburg, la nazioni costiere si impegnarono a creare, entro il 2012, un sistema di aree marine protette pari al 10% della superficie degli oceani mondiali. Ma il risultato è stato largamente disatteso: nel 2006 la copertura di tali aree era pari a meno dell’1%. E pensare che la soluzione sarebbe vantaggiosa non solo per i mari, ma per la stessa pesca: un gruppo di 161 ricercatori ha dimostrato che dopo uno o due anni dall’istituzione di un parco marino, la quantità di pesce aumenta del 91%, la taglia dei pesci del 31% e la varietà di specie del 20%. Ovviamente questo ha benefiche ripercussioni su tutto l’ambiente circostante il parco, visto che in mare non ci sono “muri” o confini.
Se ne sono resi conto anche i pescatori del New England che prima osteggiavano fortemente l’istituzione di un’area protetta proprio all’interno di una zona dove loro pescavano snapper (un pesce simile all’orata). Ora invece gli stessi pescatori sono i primi difensori dell’area protetta: la popolazione di snapper è aumentata di 40 volte…
Intervenire sulla pesca è ormai una priorità, e l’opposizione dell’industria stessa è miope, perchè non vede la fine che si avvicina a grandi passi. Ad esempio la pratica dei sussidi alla pesca – un miliardo di euro all’anno, nella Comunità Europea – è ormai un assurdo spreco e un incentivo alla distruzione totale dei mari (chi vuole saperne di più e vedere dove vanno questi soldi può andare qui). Spesso, e purtroppo in particolare in Italia, questi soldi finiscono persino a imbarcazioni che pescano illegalmente (volete i nomi delle barche italiane? Sono noti).
Bisogna, in definitiva, adeguare lo sforzo di pesca alle capacità di ripresa dell’ambiente marino. E’ necessario ridurre le flotte, promuovere sistemi di pesca a basso impatto, convertendo e cessando quelli meno sostenibili, stabilire obiettivi di gestione quantitativi e qualitativi della capacità di pesca e piani di attuazione obbligatori e vincolanti per ogni attività di pesca.
E attenzione, perchè anche noi come consumatori, possiamo fare qualcosa: mangiando meno pesce, è ovvio, ma anche stando più attenti a quello che scegliamo. Slowfood ad esempio, ci invita a “dire no ai grandi predatori, dare la priorità al pesce locale, adulto, di stagione (cioè che non si trova in fase riproduttiva) e dal ciclo vitale breve”. E soprattutto, informarsi su quello che si compra.